SBAGLIANDO SI IMPARA

Chi voglio essere, non cosa voglio fare: l’importanza del purpose personale
Definisce il nostro scopo nella vita, attraverso il quale saremo in grado di lasciare un segno duraturo, grande o piccolo che sia, nella società.
di Consuelo Sironi * e Giulio Xhaët*

24Management Formazione – Il Sole 24Ore 9 marzo 2021

Da piccoli una delle domande che ci vengono rivolte più spesso è: “Cosa vuoi fare da grande?” Crescendo i nostri sogni di bambini si scontrano con la quotidianità e le nostre velleità di diventare presidenti, ballerine o astronauti vengono spesso abbandonate. La domanda, tuttavia, apparentemente banale, nasconde un senso profondo: il senso di cosa vogliamo fare per raggiungere il nostro scopo nella vita, ciò che oggi viene indicato come purpose.
Il purpose è sulla bocca di molti, soprattutto perché molte aziende lo stanno usando in sostituzione (o in integrazione) delle ormai obsolete mission e vision aziendali. Noi siamo entrati in contatto la prima volta con il purpose due anni fa, partecipando a un corso organizzato da un collega (Andrea Notarnicola) esperto dell’argomento. Al termine della giornata era chiaro che il purpose fosse qualcosa di molto intimo e personale. Non a caso, è stato in grado di suscitare in noi emozioni molto forti. Volendo tratteggiare una definizione, potremmo indicarlo come il nostro scopo nella vita, attraverso il quale saremo in grado di lasciare un segno duraturo, grande o piccolo che sia, nella società. Consideriamolo un viaggio dentro di sé, alla ricerca di un qualcosa che ci fa sentire capaci di produrre cambiamenti, contribuendo a scenari più grandi di noi. Per questo il purpose non è innato, ma in continua evoluzione. Va cercato, costruito, può cambiare volto nel corso del tempo e a seconda dei contesti in cui viviamo. Non solo: la ricerca del proprio purpose ci permette di lavorare in maniera più coinvolta e coinvolgente: in un celebre Ted Talk lo psicologo Mihaly Csikszentmihalyi definisce flow lo stato che ogni essere umano è in grado di raggiungere quando è impegnato in qualcosa che lo appassiona e lo motiva nel profondo. Il flow permette di raggiungere uno stato “estatico” in cui la soddisfazione è molto alta, ma è anche uno stato dinamico in continua evoluzione, in cui le nostre competenze sono in gioco, sempre migliorabili. Proprio a questo riguardo, un aspetto ancora poco esplorato di ciò che ci motiva nel profondo è la capacità di portarci fuori dalle nostre zone di comfort, dotandoci di capacità che in situazioni normali non riusciremmo a tirare fuori. Pensateci: introversi che si trasformano (temporaneamente) in istrioni coinvolgenti, persone tipicamente superficiali che in certi contesti diventano capaci di concentrarsi per ore e ore dimostrando un pensiero critico inaspettato…continua


Difficile nella quotidianità riflettere sul “purpose” personale, su chi voglio essere, se svolgo il mio lavoro con la necessaria passione e se effettivamente il mio percorso rispecchia quanto mi ero prefigurato nel valutare i miei obiettivi professionali. Spesso siamo più concentrati sull’immediato, sui modelli che ci vengono in qualche modo imposti dall’esterno, inseguendo degli status sociali, demandando al “poi” situazioni che dovrebbero al contrario rappresentare la nostra attualità, il nostro “oggi”. In realtà le occasioni che ci siamo fatti sfuggire non ritornano, il tempo scorre e spesso ci si accorge troppo tardi che si è distanti da ciò che avremmo dovuto o voluto essere se avessimo inseguito le nostre attitudini, le nostre predisposizioni o semplicemente se avessimo fatto una scelta diversa che in quel momento era magari fuori dai nostri percorsi abituali. Anche scelte lavorative sbagliate ci condizionano e se, protratte nel tempo, difficilmente si riesce a rivedere il proprio ruolo a proporsi sul mercato in contesti che meglio ci rappresentano. Talvolta occorre dunque fermarsi e riflettere sugli obiettivi e sul proprio “sentire”.